Pochi giorni fa, l’Ires Veneto ha pubblicato una ricerca estremamente importante sullo stato di salute del sistema sociosanitario in Veneto. Il coronavirus ha sconvolto le nostre vite, prima con la fase del lockdown e oggi rivoluzionando alcune nostre abitudini consolidate, ma soprattutto ha messo a dura prova il nostro sistema sanitario.

Abbiamo sentito dire tante volte che il Veneto ha retto meglio di altre regioni perché è stato salvato dalla sua sanità di territorio e da un modello che non è solamente “ospedale-centrico”. Ma è importante leggere i numeri, per capire che cosa stava capitando alla nostra sanità prima che arrivasse il coronavirus.

  • Gli accessi in PS con codice bianco sono in aumento del 10%.
  • La lunghezza della degenza ospedaliera in Veneto è superiore alla media nazionale
  • La dotazione di personale medico è inferiore alla media nazionale (19,2 vs  22,7 per 10.000 abitanti nelle strutture pubbliche)
  • I posti letto realizzati nelle strutture intermedie rappresentano il 59% dei programmati.
  • Il fondo per la non autosufficienza non è adeguato al fabbisogno effettivo (coperto solo il 70% delle impegnative di residenzialità)
  • In due anni, dal 2017 al 2019, si sono persi 155 medici di base convenzionati L’assistenza domiciliare integrata, che prende in carico una buona percentuale di pazienti ultra 65enni, registra un numero di ore di servizio per assistito di molto inferiore rispetto al dato medio nazionale (4 ore vs 17 ore per anziani, 10 ore vs 24 ore per pazienti terminali)

Nessuno vuole negare che il Veneto resta una Regione con una sanità di qualità, ma in questi anni abbiamo visto pesanti passi indietro e un progressivo abbandono del modello costruito nei decenni precedenti.

Occorrono interventi oculati per rafforzare e potenziare i servizi di assistenza territoriale perché la persona, una volta dimessa dall’ospedale, ha spesso ancora bisogno di aiuto che, attualmente, non trova o trova solo parzialmente: pensiamo alle strutture intermedie, come gli ospedali di comunità, e al necessario rafforzamento dell’Assistenza Domiciliare Integrata, che sarà sempre più fondamentale per evitare il congestionamento delle strutture sanitarie e riabilitative. Ma va rafforzata tutta la sanità territoriale, a partire dai medici di medicina generale e dai distretti: va ripreso il percorso interrotto delle medicine di gruppo, perché i medici di base sono il cuore nevralgico del nostro sistema sanitario.

Nei prossimi anni il più classico degli alibi, “non ci sono i soldi”, sarà un’arma spuntata perché una quota rilevante delle risorse in arrivo dall’Europa saranno indirizzate proprio in campo sanitario (alla sanità veneta sono in arrivo più di 200 mln. di euro dallo stato dal Decreto rilancio) ma i soldi non basta averli, bisogna anche sapere come spenderli.

 

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