Da quando i giornali hanno iniziato a scrivere dell’ipotesi di Enrico Letta segretario del PD ho ricevuto due tipologie di messaggi e di chiamate. La prima di incoraggiamento e di fiducia, di persone che vedono in lui l’ultima speranza a cui aggrapparsi in un momento di profondo smarrimento. La seconda si potrebbe riassumere così: “ma chi glielo fa fare?”.

Mi ha molto colpito, questa seconda. Perché da un lato denota l’idea che il Partito Democratico dà di sé all’esterno: una comunità lacerata da dissidi e da tensioni interne, difficilissima da guidare. Il che, d’altronde, è stato esattamente il messaggio con cui Zingaretti ha rassegnato le dimissioni.
Dall’altro perché dimostra come ormai in politica sia scontato solamente fare le cose “comode“, quelle che vengono facili e che non prevedono grandi rischi.

Enrico Letta negli ultimi sette anni si è costruito un bellissimo percorso professionale e di vita, insegnando in una delle università più prestigiose al mondo. In effetti, perché mai dovrebbe imbarcarsi in un’avventura così complicata?

Conoscendolo ormai da tanti anni, la risposta è semplice: perché, anche se tanti se ne sono dimenticati, la politica è prima di tutto passione e servizio. E per lui è proprio così. Come ha detto ieri, “ha il PD nel cuore” e sa bene che siamo di fronte ad un passaggio difficilissimo nella vita non soltanto del partito ma anche del Paese.

Ora Letta è il nuovo segretario nazionale del PD. Eletto al termine di un discorso emozionante, pieno di contenuti e di visione politica. Ascoltarlo per me è stata un’emozione particolare, perché ho iniziato il mio impegno politico proprio con lui alle primarie del 2007, ormai quasi 15 anni fa. Ed è la persona da cui più ho imparato in questi anni.

Tra le tante cose programmatiche e di contenuto che ha detto, ce n’è invece una simbolica e di valore etico che voglio sottolineare: l’impegno per la dare la cittadinanza italiana a Patrick Zaki e il ricordo di Giulio Regeni, per il quale non smetteremo di chiedere verità.

Ora avanti, insieme. C’è tanto lavoro da fare.

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