Un anno fa Venezia andava completamente sott’acqua. Un evento di “Acqua granda” eccezionale, secondo solo a quello del 4 Novembre 1966. Sebbene un’alta marea anomala fosse stata prevista, nel corso del tardo pomeriggio le imponenti raffiche di vento a più di 100 km/h determinarono un ulteriore innalzamento dell’acqua con il picco massimo di 187 centimetri registrati a Punta della Salute, provocando purtroppo la morte di due persone a Pellestrina.

Alcune delle foto che ho utilizzato, a corredo di questo articolo, sono di Stefano Fracasso, ex consigliere regionale del PD che quel giorno era a Venezia in Consiglio e che ben ha spiegato nel suo libro “Per un pugno di gradi” come la causa di quel disastro – e dei molti altri che negli ultimi anni si stanno verificando – sia attribuibile al costante e drammatico cambiamento climatico. Il riscaldamento globale, infatti, causando lo scioglimento dei ghiacciai, sta inevitabilmente innalzando il livello degli oceani e dei mari e la costa settentrionale dell’Adriatico, come ha peraltro rilevato uno studio dell’Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, rischia di sommergere il delta del Po e arrivare alle porte di Rovigo.

È quindi inevitabile che a Venezia il livello del mare continui a salire ed entro fine secolo sarà più alto di 60 centimetri rispetto a oggi. Tutto ciò comporta che gli eventi di marea che superano 110 centimetri potrebbero ripetersi, anziché quattro volte all’anno come accade oggi in media, ben 250 volte all’anno: in pratica, le zone più basse della città, compresa piazza San Marco, sarebbero quasi sempre allagate.
Ad una situazione così critica è difficile trovare una via d’uscita immediata, ma è cruciale agire il più in fretta possibile.

Il Veneto su questi temi da troppo tempo è immobile e anzi si è reso protagonista di alcune tra le peggiori performance a livello nazionale.
E il Mose non basterà certo a risolvere il problema: serve ben altro se non vogliamo perdere la città più bella del mondo.

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